Breve racconto di Daniela Rindi con disegno di Bruno Di Marco, pubblicato su Nuovo Territorio il 06/07/09
Consapevolmente disabile “Esistere è una inclinazione che non dispero di fare mia”, eppure tutto è iniziato da questa frase. Un libro, E.M.Cioran, ha stravolto la mia vita. Avevo compiuto da poco il mio sessantatreesimo compleanno, quando mi ritrovai seduto sul letto di quella camera d’ospedale, al primo piano di un’importante clinica milanese. Le gambe ciondoloni, lo sguardo fisso sul dottore, come sempre abbronzato, che mi stava consigliando di trasferire mia moglie a casa.
Non aveva più speranza, il tumore al peritoneo era arrivato ai polmoni. Un’equipe medica, a pagamento, avrebbe seguito la malata terminale presso l’abitazione, fino all’ultimo respiro. Trangugia il filo di saliva che mi era rimasto in bocca e scoppiai a piangere. In quel pianto liberatorio c’era il dolore di un mese di veglia, passata accanto al letto, tra l’incredulità, la speranza e l’assurdo. C’era la rabbia contro un Dio cui non avevo mai creduto e continuavo a non credere. Il mio rapporto di odio con lui mi rendeva l’ateo più credente al mondo. C’erano i miei figli, i miei nipoti, ai quali era tolta una parte di vita e c’era il mio cuore. Dilaniato. A me era tolto tutto.
Ero appena andato in pensione e avevo iniziato a fare programmi con lei, finalmente potevamo dedicarci a noi, alla nostra vecchiaia, al nostro tempo insieme. I soldi messi coscienziosamente da parte, grazie all’ostinata presenza di mia moglie sull’argomento…si preoccupava lei, del nostro futuro, voleva trascorrerlo tranquilla…mi aveva messo nella condizione di prenotare dei viaggi. Per primo voleva andare a Ischia, poi vedere l’America…Come tutto questo si rivela oggi amaramente inutile. Come non vorrei avere avuto ragione, mai come oggi. Lei, così ingenua, così meravigliosamente terrena, mi rendo conto solo adesso della sua grandezza.
Un mese di malattia, dove ti aggrappi a qualsiasi illusione, un mese di vita. Lei con il sorriso, finché ha potuto permetterselo, con la forza di tranquillizzare la mia disperazione. Entrammo insieme, ma uscii da quell’ospedale da solo, con una piccola valigia in mano, tutto quello che mi rimaneva di lei. Non avevo pensieri particolari, anzi non avevo pensieri. Tutto era passato su di me in un lampo, una vita era finita, la mia. Avevo amato, goduto, sofferto, gioito, ma quel giorno si era portato via tutto.
Un pensiero in realtà c’era, che si agitava nervosamente nella testa…cosa avrei scritto sulla lapide. Non si è mai preparati al peggio. Ho sempre odiato i cimiteri, le onoranze funebri, le tombe innalzate al ricordo di chi non c’è più e adesso mi ritrovavo a farne i conti. Come si può scrivere la fine di una vita in poche righe? Andai indietro con la memoria, cercando di ricordare le piccole cose, fino a quando approdai ad un bracciale d’argento che gli avevo regalato al ritorno da una tournée. Sopra c’erano scritti alcuni versi di una poesia di Bertold Brecht:
Un dì nel mese azzurro di settembre
quieto all'ombra d'un giovane susino
tenevo il quieto e pallido amore mio
fra le mie braccia come un dolce sogno… Non andai subito a casa, non avevo fretta, non c’era più nessuno ad aspettarmi preoccupato. Piansi nuovamente. Il senso di vuoto che avevo nel cuore mi annientava. Come potevo sopravvivere senza di lei, senza la sua voce, la sua testa, il suo corpo? La vita è veramente tutta qui? Un’illusione di felicità che si dissolve nella morte? Mi ritrovai a passeggiare per Brera, attorno tante bancarelle, si… l’antiquariato le piaceva tanto, rovistare tra le vecchie cose alla ricerca della pietra filosofale…Schernita da me ogni volta, infastidito, come mi sembrava importante quella mattina, fatta di nulla!
Mi avvicinai alla bancarella dei libri usati e iniziai a leggere titoli a caso. Tra le mani mi capitò “La tentazione di esistere”, lessi l’incipit:- Per quasi tutte le nostre scoperte siamo debitori alle nostre violenze, all’esacerbarsi del nostro squilibrio. Persino Dio, per quanto si incuriosisca, non lo scorgiamo nell’intimo di noi stessi, bensì al limite esterno della nostra febbre, esattamente nel punto in cui, la nostra rabbia fronteggiando la sua, ne risulta una collisione, uno scontro rovinoso per Lui non meno che per noi. - Quel libro, a distanza di anni è ancora sul mio comodino, per me è lei, rappresenta la mia esistenza. Non l’ho mai letto.