sabato 23 febbraio 2008

Sylvia Plath

Sarà con l’americana Sylvia Plath (1932-1963) che il quadro dell’eliminazione dei punti di riferimento e il rifiuto di ogni valore tradizionale diverrà ancora più radicale. Leggiamo i suoi versi per il padre, perso all’età di otto anni, e da lei “ucciso” nuovamente con la poesia:

“Non servi, non servi più,
o nera scarpa,
tu in cui trent’anni ho vissuto
come un piede, grama e bianca,
trattenendo fiato e starnuto.
Papà, ammazzarti avrei dovuto.
Ma sei morto prima che io
Ci riuscissi
Se ho ucciso un uomo, due ne ho uccisi.
Il vampiro che diceva esser te
E un anno il mio sangue bevè
Anzi sette, se tu
Vuoi saperlo. Papà puoi star giù.”
Sinceramente, come genitore, non vorrei mai sentire queste parole, anche se scritte da una grande poetessa e come figlia mi auguro di non arrivare mai a soffrire così, per un rapporto mai chiarito. I danni possono essere irreversibili, per cui nel mio piccolo, ho sempre le antelle tese per captare le emozioni delle mie figlie e faccio un grande sforzo per non ripetere gli errori dei miei genitori. Forse ne farò di nuovi, ma così il processo è evolutivo, non il contrario. Costa sacrificio, perchè accettare gli schemi del genitore è più facile, più sicuro sotto certi aspetti, ci si giustifica di più, invece sperimentare un nuovo rapporto no. Ogni errore è tuo e c'è sempre il vecchio papà o mamma che può dirti "te l'avevo detto!" Questo, si sà, è insopportabile, è sempre la solita bacchettata sulle mani che brucia. Generalmente anche la gente che ci circonda, è adeguata agli schemi comuni di educazione, per cui doppia fatica e doppio coraggio, forza. Penso che sia necessario e doveroso verso i nostri figli, garantirgli non tanto un'educazione tradizionale, quanto un'apertura mentale, disponibile al dialogo e anche ai silenzi, quando occorre, ma sempre e solo guidati da un profondo senso d'amore, che innanzi tutto è rispetto.

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